Insegnante in prima linea – Intervista alla prof.ssa Mirella Interdonato

Ospitiamo oggi la professoressa Mirella Interdonato, vicepreside e docente di materie letterarie presso il CPIA di Messina nella sede associata “Verona-Trento”.

Grazie per la disponibilità, professoressa. Sappiamo che il suo tempo è davvero poco, vista la quantità di lavoro che grava sui grossi centri di istruzione per gli adulti, soprattutto per la presenza di numerosi extracomunitari. Ma sappiamo anche che lei è sempre stata in prima linea per difendere e promuovere questo tipo di insegnamento. A tal proposito, può dirci quali sono gli aspetti positivi e negativi che si presentano a un docente CPIA alle prese con decine e decine di corsisti che arrivano da ogni parte del mondo?

La platea multiforme e multilingue, che si presenta giornalmente sui banchi della nostra scuola, rappresenta per tutti i docenti una sfida difficile e complessa da combattere contro un sistema scolastico, a mio avviso, inadeguato e carente nei confronti dell’istruzione per gli adulti. In particolare mi riferisco alla realtà che conosco meglio che è quella della sede associata “Verona- Trento” di Messina. Si tratta di una scuola centrale che raccoglie pure la zona sud della città e che è molto richiesta per la sua vicinanza alla stazione dei treni e degli autobus. Inoltre sul territorio insistono la maggior parte dei centri d’accoglienza per minori non accompagnati, Cas e Sprar. Quest’anno abbiamo ricevuto più di duecento richieste d’iscrizione tra alfabetizzazione e primo periodo, ma non è stato possibile soddisfare tutti per carenza d’organico docenti e di locali scolastici. Ci siamo dovuti fare carico dei recenti flussi migratori ai quali si aggiungono gli stranieri stabili in città che hanno bisogno di certificazioni e qualifiche spendibili nel lavoro, i minori non accompagnati, i Neet e i detentori di reddito di cittadinanza che rientrano nel circuito scolastico. Noi docenti dobbiamo affrontare i disagi legati alla mancanza di spazi adeguati e alla condivisione con l’Istituto Superiore Verona-Trento.

I rapporti tra le due Istituzioni scolastiche sono ottimi, ma si sente sempre più la necessità di avere locali propri dove poter organizzare attività e laboratori anche in orario extrascolastico; i docenti sono professionali, appassionati e sensibili alle richieste degli alunni; vorrebbero attuare una certa flessibilità per venire incontro alle diverse esigenze lavorative e familiari dei frequentanti, ma questo è impossibile perché l’organico docenti è uguale a quello dove gli studenti sono molti di meno. Un altro problema che si riscontra è la difficoltà nel creare gruppi di livello omogenei sia per la numerosità degli studenti, sia per l’instabilità di molti di loro ed il conseguente ricambio secondo criteri di tempi d’attesa e non di competenze possedute. Difficile è, per i motivi su esposti, anche organizzare attività di recupero e potenziamento. Al contrario è motivante lavorare sull’inclusione. Ci troviamo di fronte ad adulti la cui esperienza scolastica pregressa spesso è stata vissuta ai margini della classe e non sempre supportata adeguatamente, causando l’abbandono scolastico, il mancato apprendimento di competenze sociali e di vita, l’esclusione dal mondo del lavoro, una scarsa partecipazione alle attività sociali e di tempo libero. Fin dai primi giorni un nostro obiettivo è quello di “includere” e mai di “escludere”. Includere vuol dire offrire l’opportunità di essere studenti e cittadini a tutti gli effetti. Ciò non significa negare il fatto che ognuno di noi sia diverso, ma vuol dire andare al di là delle barriere linguistiche, sociali e culturali, e sviluppare la crescita personale e professionale di tutti. Tutte le azioni sono finalizzate a colmare, nel più breve tempo possibile, le carenze in ambito linguistico al fine di sviluppare un percorso integrativo/inclusivo, basato sulla scomparsa delle barriere legate alla limitata comprensione sia della lingua, che dei diversi sfondi culturali.

In classe si ritagliano momenti destinati allo sviluppo di una cultura inclusiva, connotata dal dialogo, dal rispetto, dall’attribuire valore ad ogni persona, dal trovare modi e occasioni per favorire la partecipazione e l’apprendimento di tutti.

Perché la scelta di questo tipo di insegnamento?

In verità inizialmente non è stata una scelta, infatti nel lontano 2002 sono stata trasferita al CTP “Verona-Trento” perché perdente posto nella mia scuola di titolarità. Non nascondo che la mia idea iniziale era quella di fermarmi un anno per poi rientrare in sede, anche perché con chiunque tra gli addetti al “lavoro” parlassi, tutti mi tranquillizzavano con la celebre frase “benissimo, sei arrivata dove non si fa niente” e per me questo equivaleva ad un pugno nello stomaco. La realtà è stata ben diversa! Ho trovato un gruppo di colleghi motivati, classi numerose, allora formate da tanti italiani e pochi stranieri, ho sentito la necessità di rimettermi in gioco per aiutare persone adulte a trovare la motivazione ed il piacere a venire a scuola. Con il passare degli anni l’utenza è cambiata, prima sono arrivati giovani stranieri di seconda generazione, filippini, srilankesi, marocchini ed ancora una volta tutti noi docenti siamo stati chiamati a modificare la nostra metodologia, a realizzare nuovi percorsi.

Oggi gli alunni della nostra scuola sono pakistani, bengalesi, srilankesi, cinesi, filippini, indiani, rom, brasiliani, argentini, tantissimi africani di diverse etnie e… naturalmente italiani. Di loro ci parlano i volti, i colori della pelle, i gesti, gli abiti, gli odori, i silenzi, le frasi incomprensibili, i sorrisi, i racconti. Tanti non hanno famiglia e, anche se io sorridendo li correggo, mi chiamano “mamma” in quanto rappresento quella figura che vorrebbero avere vicina ed invece è tanto lontana. Non importa, io sento di essere stata ri-chiamata a re-inventarmi non tanto come docente, ma come persona pronta al dialogo ed al confronto. Per me non si tratta di stare dietro la cattedra, ma di camminare insieme per favorire l’inclusione sociale e le capacità relazionali di ognuno. Non sono la loro mamma, ma cerco di essere un’insegnante “nata e diventata” nel vero senso della parola, pronta all’ascolto,al consiglio, al sorriso, al rimprovero.

Può raccontarci un aneddoto in particolare? Una storia che le è rimasta nel cuore?

Aneddoti ne potrei raccontare tanti, alcuni veramente curiosi e divertenti, come quello di uno studente italiano che, avendo saputo che un docente era rimasto in panne con la macchina, ha insistito per offrirgli un passaggio e si è presentato davanti al portone con un carro funebre luccicante, tra il nostro stupore e immaginabili scongiuri del collega interessato.

La storia che credo non dimenticherò mai è invece quella di Nino, un giovane italiano ospite di una Comunità che, avvicinandosi le vacanze natalizie, mi ha confidato di aspettare con ansia la vigilia di Capodanno e di essere pronto a scappare se non gli avessero dato il permesso di tornare in famiglia. Ho cercato di rasserenarlo e di convincerlo a non fare sciocchezze, ma quando mi ha spiegato il motivo, sono rimasta senza parole: aveva appuntamento al cimitero, sulla tomba del padre, ucciso in un agguato, per brindare a mezzanotte con lui, lanciare un razzo verso il cielo, per cui non poteva assolutamente mancare. Si, questo ragazzo ancora minorenne ogni anno a mezzanotte scavalcava il cancello del cimitero con una bottiglia di spumante e, senza paura, camminava tra i viali vuoti e bui per non lasciare solo il padre. Nino oggi sarà grande, non l’ho più visto, spero che sia diventato un uomo onesto, che nella vita abbia avuto fortuna e che adesso abbia una bella famiglia; ogni volta che brindiamo al nuovo anno e il cielo si illumina di luci colorate non posso fare a meno di pensare a quel “ragazzino” che forse ancora oggi a mezzanotte piange sulla tomba del padre, desideroso di poterlo stringere a sé.

I Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti sono poco conosciuti sul territorio. Quale potrebbe essere la cura per uscire dall’anonimato?

Penso sia fondamentale lavorare perché  ci sia un collegamento stretto tra i Centri Provinciali e gli enti territoriali in cui sono inseriti. Solo così è possibile attivare una didattica davvero funzionale al reinserimento degli adulti, che abbia come sbocco principale l’attività lavorativa ed il rientro in formazione.

Si deve fare gioco di squadra, non si può camminare da soli, la collaborazione degli enti locali è fondamentale. Per esempio si potrebbe aumentare l’offerta formativa agevolando la fruizione a distanza di una parte dei percorsi, da non considerare aggiuntiva o secondaria, ma funzionale al conseguimento di qualifiche spendibili nel mondo del lavoro. I Comuni, gli Uffici per l’impiego, le Camere di Commercio, il Confartigianato sono i luoghi preposti dove tastare il polso della situazione economico-lavorativa della nostra provincia È necessario intercettare con dati visibili la domanda-offerta di lavoro, al fine di indirizzare l’ampliamento formativo in modo ottimale. Solo così i CPIA potranno rappresentare una soluzione valida al rientro in formazione degli adulti italiani e stranieri e all’invecchiamento attivo della nostra popolazione.

Insegnanti di CPIA si nasce o si diventa?

Insegnanti prima si nasce e poi si diventa. Sono necessarie alcune doti innate, ma anche esperienza e formazione.

Prima di essere docenti del CPIA si deve essere “insegnanti”, un mestiere complesso e difficile, oserei dire una “missione”da esercitare con passione e amore, al pari di un medico o di un missionario. In particolare nella società contemporanea l’insegnante non può essere, come spesso accadeva nel passato, un “trasmettitore di saperi”, per questo ci sono tanti altri strumenti tecnologici migliori, ma deve essere un suscitatore di “voglia di conoscenza”, motivazione, curiosità.

Il docente del CPIA deve aggiungere a tutto ciò la capacità di mettersi in gioco, di avere iniziative personali, deve avere voglia di aiutare gli studenti-adulti a coniugare il sapere all’esperienza quotidiana ed ai contesti di vita reale. Nel fornire le basi culturali deve destare nei discenti il desiderio di imparare. Deve essere flessibile, avere apertura mentale. L’approccio con gli studenti deve essere empatico, bisogna rapportarsi alla pari, senza annullare le differenze, infatti si deve trovare un equilibrio tra empatia ed autorevolezza, capacità di condivisione e distacco. Spesso ci troviamo di fronte a personalità già formate, ma fragili, provate dall’insuccesso e bisognose di motivazione o ri-motivazione, di una carica di fiducia e di tanto rispetto. Dobbiamo rivolgerci a loro con spontaneità e naturalezza, mostrare disponibilità al confronto; il nostro tono non può mai essere cattedratico, dobbiamo sapere ascoltare ed essere accattivanti, l’atteggiamento deve essere autorevole, ma non critico e valutativo, senza dimenticare che tra i banchi siedono non bambini da forgiare, ma adulti sfuggiti a guerre, violenze e povertà, padri e madri di famiglia disoccupati, disadattati socio-economici con problemi giudiziari, in una sola parola “persone”.

La ringrazio tanto, professoressa Interdonato. Felici di averla avuto a bordo.

Grazie a voi per lo spazio accordatomi, con l’augurio di lavorare sempre con passione e professionalità.

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